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sabato 30 ottobre 2010
Il sogno di Nicolino ( parte seconda )
Così mentre viaggiavo verso la libertà, custodito dal paffuto ferroviere, mi addormentai come un bambino e ad essere sincero, dopo tanto tempo, quello per me fu un dolce dormire.
Non mi resi nemmeno conto per quanto tempo durò il viaggio, ricordo soltanto lo scorrere dei paesaggi illuminati dal sole, era tutto bellissimo, sembrava tutto un sogno incredibile.
Ma non mi dovevo distrarre, non dovevo dimenticare che ero un uomo in fuga, tornare in Italia dalla mia famiglia.....
In quei pochi momenti di lucidità, la mia attenzione si soffermò sul ferroviere, mi feci molte domande, e, soprattutto, perchè mai mi stesse aiutando, a rischio della sua stessa vita.
Forse un angelo sceso dal cielo per aiutarmi, per illuminarmi la via della salvezza, ma non chiesi nulla, forse per paura che si rovinasse l'incanto di quell'incontro.
Alla fine il treno raggiunse la sua meta, era notte fonda, il ferroviere mi fece segno di stare zitto, si affaccio e salutò il capo stazione, si parlarono pochi minuti, poi il capo stazione continuò il suo giro di controllo.
Il ferroviere, mi guardava con aria pensierosa, certamente si domandava cosa fare di me adesso, ed io ne ero consapevole, ero nelle sue mani; così, mentre ero assorto nei miei pensieri, vidi d'improvviso il faccione del ferroviere illuminarsi ed accennare un piccolo sorriso, ecco, pensai, ha escogitato qualcosa per me, ti prego fa che sia la cosa giusta.
Aspettammo in silenzio per un' oretta, e, dopo aver controllato che non passasse nessuno, scendemmo dal treno e velocemente uscimmo dalla stazione seguendo i binari, deviammo per un sentiero, e da li camminammo per un paio di chilometri fino a giungere in un piccolo paese, affrettammo il passo, finchè ci fermammo davanti un condominio, li entrammo in piccolo appartamento. Era casa sua.
Aprì la moglie che rimase sorpresa della mia presenza, ma anche lei, come il marito, non disse nulla, mi guardò fisso e poi mi fece entrare, e dopo alcuni minuti di silenzio i due cominciarono a parlottare tra di loro, poi lei mi fece segno di seguirla, prese alcuni abiti da un armadio e mi condusse in un piccolo bagno, indicò la vasca e chiuse la porta dietro di se.
Quello fu il bagno più bello della mia vita.
Mi nascosero per un paio di giorni, finche Elmutt e Marie, così dissero di chiamarsi, mi fecero segno di sedersi a terra come loro, qui Elmutt, in perfetto Italiano, mi spiegò come avremmo agito.
Verso mezzanotte uscimmo da casa e ci incamminammo per le campagne, finchè raggiungemmo un grosso spiazzo rigato da dei binari morti dove erano fermi alcuni vagoni, di soqquatto ci avvicinammo, aprì un vagone mi fece salire, mi diede un vecchio orolgio, aprì una piccolissima botola, e disse:" Nicola, domani mattina questa carrozza verrà attaccata ad un treno che condurrò io, qui dove sei tu verranno depositate delle merci, quando saranno le 13,00 io rallenterò e tu in quel momento ti dovrai gettare dal treno, da li sei a circa 10 km dal confine con l'Italia", lo interruppi, chiedendogli perchè mi aiutava.
Mi guardò fisso, gli occhi divennero cristallini, le lacrime cominciarono a solcare il suo volto, abbassò lo sguardo e disse:" Quei maledetti uccisero mio figlio Maxim, sono solo degli assassini".
Si riprese alzò lo sguardo, chiudendo il portellone disse" Addio figlio mio", furono le sue ultime parole.
L'indomani tutto si svolse secondo i piani, saltato dal treno, mi nascosi sotto un albero, in attesa della notte, l' Italia era ormai ad un passo, ma proprio ora che ero al traguardo, un lampo percosse il mio cervello, i tedeschi erano ancora li? Una volta in Italia dove sarei andato?
Ma ora non aveva più importanza, dovevo raggiungere la mia Roma, e se dovevo morire, volevo morire li, nella mia città!
Giunse dunque la sera, feci un lungo sospiro, mi alzai e cominciai a camminare, tutto era tranquillo, era una notte bellissima, il cielo era la cornice di un bellissimo quadro, ma il mio viaggio doveva continuare, fino alla libertà o alla morte.
Raggiunsi il confine, lo superai e continuai a camminare per tutta la notte, verso le prime luci dell'alba mi nascosi in un piccolo bosco e li rimasi tutto il giorno, alla sera, di nuovo, ripresi il mio cammino verso l'ignoto.
Nuovamente l'alba cominciava ad affiorare, ora dovevo trovare un nuovo nascondiglio dove aspettare la sera e soprattutto riposare, vidi tra le rocce una piccola grotta, entrai cercando il punto più profondo, ma ebbi una sorpresa la grotta era piena di armi nascoste, di certo era l'armeria di qualche banda partigiana, guardai quelle armi, l'istinto mi spingeva ad armarmi, presi un revolver lo guardai, ma non ebbi il coraggio di tenerlo e lo gettai a terra.
Dopo pochi minuti uscii da quella grotta, era meglio trovare un nuovo rifugio al più presto, camminai un'altra oretta, non trovai di meglio che gettarmi in un piccolo fosso tra le canne di un lago, e tra il gracidare delle rane mi addormentai.
Di colpo mi svegliai, mi sentivo come osservato, quand'ecco tra le canne uscire una sagoma scura venirmi incontro, mi dissi che era arrivato il mio momento, ma, quando il torpore del sonno svanì, vidi di fronte a me un prete cattolico, mi guardò negli occhi e poi prese a parlare, ma le sue parole sembravano lontane, incomprensibili, poi svenni.
Quando mi ripresi, ero in un morbido letto, il prete era li che mi accudiva, quando si accorse che mi ero svegliato mi disse:" Tranquillo ragazzo, hai un po di febbre, ma niente di grave", lo guardavo perplesso poi caddi di nuovo in un sonno profondo.
Quando ripresi le forze il prete si presentò come don Francesco e mi chiese chi ero io.
"Sono un ebreo, mi chiamo Nicolino, e sono fuggito da un campo di concentramento", dissi a bassa voce.
Don Francesco mi rincuorò, mi disse di stare tranquillo e che anche lui avrebbe fatto la sua parte, e così fece.
Mi fece indossare un suo abito talare, poi mi portò in una cantina sottostante la chiesa, e li rimasi per una qindicina di giorni, durante i quali mi insegnò i fondamenti del cattolicesimo, poi convinto che io potessi recitare bene la mia parte, mi presentò alla sua comunità come Don Marco.
Rimasi fermo per qualche mese finchè la guerra finalmente finì ed i nazisti erano stati sconfitti, ora non c'erano piu ostacoli, potevo riprendere il mio viaggio verso casa.
Don francesco organizzò il mio rientro a Roma: treno e poi pulman per giungere alla ROMA DEPREDATA, tornai sotto casa mia, vidi le mie sorelle venirmi incontro ci abbracciammo piangendo.
Salimmo a casa, e li vidi i miei genitori, che increduli, accorsero verso di me piangendo dalla gioia di rivedere un figlio ormai creduto morto.
Ora gli anni sono passati, la memoria è labile, ma il NUMERO TATUATO SUL MIO BRACCIO E' SEMPRE LI, ma nell'altro braccio è ben visibile il mio NOME, che mi tatuai negli anni successivi al dopo guerra, perchè
IO NON SONO IL NUMERO TATUATO SUL MIO BRACCIO,
IO SONO NICOLINO!!!
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Questo racconto prende spunto da un incredibile sogno che ho fatto qualche anno fa, non credo sia mai esistito Nicolino, le figure del ferroviere con la moglie e del prete sono frutto della mia fantasia.
RispondiEliminaL'unica cosa che spero veramente è che gli orrori della seconda guerra mondiale non si verifichino mai più.
sono davvero commossa(speravo in un lieto fine!)storia interessante che dimostra come si può essere solidali anche non conoscendosi quando in gioco c'è la sopravvivenza ... mi auguro che un inferno del genere non riaccada mai più ! molto bello...
RispondiElimina